La genesi storica della mensa aziendale

mensa aziendale settecentoC’era una volta la mensa aziendale, luogo di ristorazione e socialità, oltre che teatro naturale delle crocifissioni dei ragionieri di turno dell’immancabile ufficio sinistri.

La mensa è un istituto che ha una storia antica, se però vogliamo avvicinarci di più all’idea moderna del concetto, possiamo collocare le prime mense aziendali nelle fabbriche della seconda metà del Settecento, immerse sin dagli albori in un clima di welfare ante-litteram quasi sorprendente.
Come riportato nello studio di Bertagnoni e Montanari, a New Lanark, un villaggio operaio inglese fondato nel 1780 “si può far risalire la prima mensa, già nella convinzione che una alimentazione equilibrata migliorasse la salute […] e anche un grande magazzino, una cucina per cibo di alta qualità con tre camini e sei cuochi […] c’erano corsi di cucina”.

Con un po’ di malizia, alla luce della proverbiale fame di produttività delle aziende dell’epoca (di ieri ancor più di quelle di oggi), ai buoni propositi di alcuni illuminati imprenditori si affiancava l’esigenza di mantenere la presenza dei lavoratori nel luogo di produzione, ottimizzare i tempi di pausa e magari assicurarsi che mangiassero quel minimo per resistere sui telai non meno di dodici ore al giorno.

In Italia, solo nel 1900 si propose una legge per obbligare le fabbriche ad avere un proprio spazio per la mensa e il riposo. Obbligo, poi, recepito dalle aziende in modo molto italico: sei decenni dopo, in un’epoca di maggiore sindacalizzazione, la famosa lotta per il “diritto alla mensa” era ancora al centro delle contrattazioni collettive (limitatamente alle realtà industriali del nord).

Non solo: obbligo e qualità fatalmente non vanno d’accordo e infatti, nel corso del tempo, la mensa aziendale è stata via via associata (a volte troppo severamente) a qualcosa di poco nobile.

La virata verso il buono pasto

buono pastoDa qui la grande svolta degli anni Ottanta: il buono pasto. L’idea cioè di liberare le aziende dagli oneri dei costi fissi di una mensa (oltre a quelli variabili), lasciando che i lavoratori sciamassero nei bar e nelle trattorie del territorio; per certi versi (dal punto di vista nutrizionale) nuove mense sotto mentite spoglie, ma con un po’ di soffritto in più.

Discorso complicato che pure vogliamo affrontare senza alcuna intenzione polemica. Sul tavolo ancora gli stessi problemi del settecento, senza l’abnormità delle ore da passare sul telaio, ma senza neanche il corso di cucina e soprattutto quell’illuminata idea di un’alimentazione più che mai sana da abbinare all’impegno lavorativo.

Come si vede, nel ripercorre a grandi linee la storia delle mense in Italia, si tratta di una prospettiva culturale prima ancora che pratica o economica. Anzi, proprio gli aspetti più spicci (appunto pratici ed economici) sembrano frenare il cambiamento che pure è sempre più percepito come importante dalla maggior parte di noi.

La mensa del futuro: una bella sfida, non trovate?

(per maggiori informazioni: “Cum grano salis
rubrica di Giuliano Gallini)

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